Sulle spiagge della Normandia, dove l’uomo incontra il mare, i nastri della pellicola si confondono con le alghe. La narrazione mistica di Pezzi d’Acqua si apre qui, con una fine che scopriremo essere principio.
Perché quello a cui abbiamo avuto l’occasione di poter assistere al cinema Fellini di Trieste è assieme il traguardo ma soprattutto l’inizio di un lungo viaggio: il primo progetto dei ragazzi fondatori del neonato collettivo Futura, prodotto delle menti di Guido Filacorda e Alessandra Nider, affiancati alla sceneggiatura da Gabriele Favento.
Emergendo, per imparare dai grandi, da una semplice vasca da bagno, per poi tuffarsi nel timore della vita adulta, riaprendo e chiudendo con un funereo battesimo nelle acque alla foce del Couesnon, Pezzi d’Acqua ci fa immergere nei tre, sempre più profondi, momenti di svolta della vita umana.
Le poche battute si dedicano al portare chiarezza ai suoi momenti più enigmatici, ma Pezzi d’Acqua prima di ogni cosa mostra e si fa ascoltare, non avrebbe bisogno di parole.
Le ambientazioni, scelte con estrema attenzione, caricate dalla scelta di una fotografia densa, quasi dominano sul personaggio e insistono per parlare al suo posto. La musicalità e la non-musicalità si fanno le sue altre voci, fra la quiete delle emozioni, la serenità e il vero strazio.
Il linguaggio della ripresa ha mirabilmente del documentaristico, alternato alle ampie vedute del paesaggistico, ricordando quelle intenzioni della documentazione del quotidiano, evocando nelle riprese in pellicola l’innocenza che sta alle origini del cinema.
Perché Pezzi d’Acqua parla anche di cinema. Nell’avanzare delle età, il percorso di crescita avviene prima di ogni cosa per mezzo dell’uso del medium cinematografico, raccontato diegeticamente e attraverso l’uso del supporto di registrazione analogica. Questo tacito commentario meta-cinematografico dispone davanti allo spettatore il crescere che è alla sorgente del desiderio di un giovane artista di dedicare la propria vita alla cinematografia. Ed è così fatto partecipe del crescere nei protagonisti (e protagonisti-registi) della facoltà di saper vedere e di voler vedere, di voler raccontarsi e raccontare, e infine, in quella pellicola, di ritrovare sé stessi.
Soprattutto per questo sento di poter applaudire l’inserzione del regista nel personaggio, dove Guido Filacorda nei panni di uomo, padre (e quasi figlio) e Alessandra Nider in quelli di donna, moglie e madre rinviano a come sia per un giovane regista l’approccio al mondo dell’arte cinematografica, i primi esperimenti, le prime lezioni, lo sviluppo di una coscienza filmica.
Dedico anche una personalissima menzione onorevole alle riprese degli animali, partecipi vivi delle ambientazioni, che arricchiscono la pulsione a questa ripresa dell’immediato, incarnando il loro particolare ruolo di inaspettati interpreti ignari, partecipi dello smarrimento spettatoriale.
E desidererei concludere su un’immagine particolare, su cui anche Pezzi d’Acqua desidera soffermarsi sul suo concludersi.
Sulla sabbia bagnata di quella spiaggia di Mont-Saint-Michel, una (diegeticamente e non) giovane regista incendia e lascia bruciare metri di pellicola, in un rituale risolutivo degli ultimi attimi di una vita trascorsa e di una passata storia: e questo è un congedo. Ma in merito Pezzi d’Acqua non potrebbe essere più chiaro: con la fine, vi è il preludio di un nuovo inizio, e avremo noi nuovamente l’occasione per tornare dove si è stati, per scrivere una nuova narrazione, così e senza fine, come quella spiaggia a Mont-Saint-Michel.
Con queste proiezioni friulane i ragazzi di Futura aprono il loro tour al di fuori dalla nostra regione, e assieme al Team di 49°, sono entusiasta di potergli porgere i miei migliori auguri di una buona fortuna per questo viaggio ogni altro che potrà seguire.
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